Va ammesso, quando si legge “Giornata Mondiale della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo” la prima reazione che sentiamo è un insieme di curiosità e scetticismo. Un po’ come quando, da bambini, ci obbligavano a partecipare alle “giornate a tema” a scuola e pensavamo solo a quando sarebbe suonata la campanella. Eppure, col tempo, abbiamo capito che certe ricorrenze servono. Sono come quei promemoria che ti ricordano di fermarti un attimo e guardare davvero cosa hai di fronte.
La diversità non è solo una parola da convegno
Chi lavora nella salute mentale, la diversità culturale la vive ogni giorno. Non è un concetto astratto, è la faccia di chi si siede davanti in studio: la signora tunisina che racconta del Ramadan e della nostalgia per la sua terra, il ragazzo peruviano che si sente “né di qui né di là”, la nonna italiana che non capisce perché la nipote voglia studiare giapponese. A volte ci si sente un po’ traditori, un po’ equilibristi e spesso, a dirla tutta, ci si ritrova, fraintendendo, a fare domande goffe, ma sempre con la voglia di capire di più.
Mi ricordo ancora la prima volta che ho partecipato a una cena “multiculturale” organizzata da una collega infermiera: cous cous, focaccia, involtini primavera e chiacchiere in almeno quattro lingue diverse. All’inizio ero impacciato, poi ho capito che bastava ascoltare e lasciarsi andare. La diversità, quando la vivi, è molto meno minacciosa di quanto sembri da lontano.
Il dialogo: più che una parola, una fatica quotidiana
Il dialogo interculturale non è roba da grandi tavole rotonde o discorsi ufficiali: è la fatica di ogni giorno, quando cerchi di capire davvero cosa prova l’altro. In studio, spesso ci si rendo conto che i pregiudizi non sono solo “degli altri”: anche noi, nonostante tutto, ne abbiamo ancora qualcuno appiccicato addosso. Ma se c’è una cosa che abbiamo imparato è che basta una storia vera, raccontata senza filtri, per far crollare in un attimo anni di stereotipi.
L’UNESCO dice che la diversità culturale è una forza per lo sviluppo, non solo economico ma anche umano. Si potrebbe aggiungere: una forza anche per la salute mentale. Abbiamo visto più di una volta pazienti trovare risorse nuove proprio grazie a un incontro “improbabile” con una cultura diversa dalla propria. E non parlo solo di grandi viaggi: a volte basta una chiacchierata al bar con il vicino di casa o una serata a ballare musica sudamericana in piazza.
Cultura e creatività: non solo numeri, ma storie
I numeri li conosciamo: diversi posti di lavoro, industrie creative, opportunità per giovani e donne. Ma quello che resta sono le facce, le mani sporche di colore dopo un laboratorio di pittura con ragazzi di ogni parte del mondo, le risate durante una lezione di cucina africana, le discussioni accese su quale sia la ricetta migliore.
La cultura, quando la si vive insieme, è un collante. Ho partecipato a progetti di arteterapia dove la diversità non era solo accettata, ma diventava la vera ricchezza del gruppo. E ogni volta mi sono portato a casa qualcosa di nuovo: una parola, una storia, una prospettiva diversa.
Cosa possiamo fare, davvero?
Non sono uno che ama dare ricette, ma qualche idea pratica mi viene:
- Curiosità vera: la prossima volta che incontri qualcuno “diverso”, chiedigli una storia, non solo “da dove vieni?” ma “cosa ti manca di casa tua?”, “cosa ti fa ridere?”.
- Sostieni la cultura locale e globale: vai a una mostra, a un concerto, a una festa di quartiere. Porta i tuoi figli, i tuoi amici, anche solo per assaggiare qualcosa di nuovo.
- Non avere paura di sbagliare: dire una parola nella lingua sbagliata, confondere una tradizione, chiedere spiegazioni. Fa parte del gioco, e spesso è proprio da lì che nascono le conversazioni migliori.
Una conclusione poco solenne
La Giornata Mondiale della Diversità Culturale, alla fine, è solo un pretesto per ricordarci che la vita, quella vera, è fatta di incontri, di differenze, di tentativi (a volte goffi) di capirsi. Da psichiatra, ma prima ancora da persona che ama viaggiare e ascoltare storie, posso dire che ogni volta che ho lasciato entrare la diversità nella mia vita, sono diventato un po’ più ricco. Non di soldi, ma di esperienze, di idee, di umanità.
E se ogni tanto ci fermassimo davvero ad ascoltare, magari i nostri luoghi diventerebbero posti un po’ più accoglienti. O almeno, “ci sarebbe più gusto a stare insieme”.
Questo articolo ha puramente carattere divulgativo e non può/intende sostituirsi al consulto di un professionista della salute mentale.